I giochi devono diventare più brevi per essere sostenibili: lo dice l’ex capo dei PlayStation Studios

di Gabriele Congiu

Quanto devono essere lunghi i giochi? Questa domanda, a cui tanti probabilmente risponderanno “il più possibile“, sta diventando uno dei principali temi di discussione tra gli addetti ai lavori del mondo videoludico, specialmente negli ultimi tempi. Se infatti un tempo le ore di gioco venivano elencate tra i pregi dei titoli, al punto che persino le campagne marketing si focalizzavano su questo elemento estremamente difficile da calcolare, nel corso degli ultimi anni stiamo assistendo ad una netta inversione di tendenza, con sempre più giochi che puntano ad offrire esperienze condensate in poche ore – tra le 10 e le 20 -, che vanno a contrapporsi alle durate mastodontiche di alcuni dei titoli più importanti della scorsa generazione.

Basti pensare alle oltre 130 ore necessarie a portare a termine un Persona, o a come gli Assassin’s Creed siano diventati sempre più lunghi e diluiti proprio per la volontà di Ubisoft di puntare fortemente anche su questo aspetto, ovvero l’offrire al giocatore un titolo su cui passare 70-90 ore (non importa se gran parte di quelle sono spese facendo contenuti estremamente ripetitivi e del tutto marginali). Nella speranza che Shadows – rinviato al prossimo anno – intenda percorrere una strada più vicina a quella di Mirage (che offre circa 20 ore di gioco) piuttosto che quella di Valhalla, sulla questione è intervenuto anche Shawn Layden, ex capo dei PlayStation Studios, il quale ha detto la sua nel corso di una lunga intervista rilasciata a Eurogamer.

I giochi devono durare di meno

Assassin's Creed Shadows Giochi

Secondo Layden, l’industria si concentra sul “spremere più soldi dalle stesse persone”, mentre i costi di sviluppo continuano a crescere esponenzialmente. “Ogni generazione costa il doppio per creare un gioco”, spiega, “quello che costava 1 milione di dollari su PS1, poi costa 2 milioni, poi 4 milioni, poi 16 milioni”. Layden paragona i giochi tripla A alle cattedrali del XVIII secolo, opere maestose ma incredibilmente costose da realizzare. “Temo che abbiamo trasformato i giochi tripla A in un business di cattedrali, e non può crescere ulteriormente. Anzi, probabilmente è già cresciuto troppo”.

Una delle cause principali di questo problema, secondo Layden, è la durata eccessiva dei giochi. Mentre in passato la longevità era un punto di forza, oggi il pubblico dei videogiocatori è più maturo e ha meno tempo a disposizione. “Per molto tempo, abbiamo continuato a insistere sulle ‘100 ore di gioco'”, spiega. “Ma con l’età media dei giocatori che si aggira intorno ai 30 anni, il tempo è diventato un bene prezioso”. Inoltre, la ricerca ossessiva del dettaglio e la complessità dei livelli contribuiscono ad aumentare i costi di produzione. “Su PS1, non ci si aspettava di poter aprire ogni porta in un gioco”, ricorda Layden. “Ora ci si aspetta di poter entrare in ogni casa, aprire ogni cassetto e distruggere tutto. È bello, ma costoso”.

Layden conclude con un appello a ripensare il modello di sviluppo, concentrandosi su esperienze più brevi e coinvolgenti, che incoraggino i giocatori a completare i giochi e a godere appieno del lavoro degli sviluppatori. “Dobbiamo capire se questo è un buon uso delle risorse”, afferma. “Voglio un movimento che porti più persone a finire i giochi, rendendoli così avvincenti che vogliano vederli fino alla fine, senza doverci dedicare mesi interi”.

Insomma, è chiaro come i tempi stiano cambiando e le 100 ore di gioco non siano più un valore aggiunto reale, sebbene gran parte dei giocatori guardi ancora a questo elemento per basare la propria scelta. In tanti, infatti, pensano che la spesa di 80 euro richiesta per acquistare un gioco debba essere giustificata da un’esperienza estremamente lunga, giudicando in maniera negativa le opere che hanno una durata più vicina alle 20 ore. Fortunatamente pare che il trend stia lentamente cambiando, con un sempre più nutrito numero di giocatori che guarda prima alla qualità complessiva dell’opera e poi alla sua durata, tuttavia è chiaro che ci vorranno ancora diversi anni prima che questa linea di pensiero diventi dominante.

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